9/3 18:05

“Al piooov”, come si direbbe nel mio dialetto. E aggiungerei anche “che du maron!”, per concludere la frase.

Ebbene sì, clima tropicale ma stagione delle piogge a quanto pare ancora bella viva, a differenza di quello che mi era stato raccontato. Ma come dicevamo l’altra volta, applichiamo la filosofia locale dell’itzoccheeeeeeeei e ce ne freghiamo, prendendo quello che ci arriva, senza troppe aspettative.

Facciamo questa cosa un po’ flash back. Partiamo da oggi, e poi torniamo a ieri. Fa molto anni 90, o almeno mi ricorda la mia prof di italiano delle medie che mi ha introdotto questo concetto, mentre guardavamo un film a scuola e lo analizzavamo. Ora faccio anche io… la regista hahaha.

Tutto questo con un geco enorme in camera, che lo sento, ma non lo vedo. L’ho visto però stamattina passeggiare sulle travi, con un panzotto notevole. Sembrava uno di quei giocattoli di mio nipote che se li schiacci suonano.

Stamattina colazione in questo posto che chiamano resort – ma parcheggiamo un attimo questo discorso. Nuvoloso ma non di nuvole grasse di pioggia… quelle nuvole sfilata di moda, secche e innoque.

Prendo lo scooter e vado subito dall’altra parte dell’isola a vedere un paio di spiagge che erano nella mia lista. E Diamond Beach è davvero mozzafiato.
Non sono sceso fino alla spiaggia. Avevo le scarpe e non volevo riempirle di sabbia, non avevo voglia di bagnarmi, e le onde non erano amichevoli.
E’ vero che dopo le Hawaii, le onde non dovrebbero più spaventarmi… ma sto facendo le cose come mi va, quando mi va, senza forzarmi troppo.

Già il motorino è stato un push. Enough direi per ora 🙂

Parto convinto, setto il navigatore e questa volta prendo anche il cavetto e non solo il powerbank. Un gesto di acuta intelligenza, lo so. Grazie grazie.
Poi, metto pure i suoni, perché così la signorina di Google Maps mi avverte quando devo voltare, e posso pure spegnere lo schermo, dato che tendenzialmente sono chilometri di strada da seguire e poi qualche svolta a destra o sinistra. E tutto questo tempo lo schermo accesso, succhia più di me dopo un periodo di magra.

Il percorso mi porta in mezzo a vegetazione fitta, banani giganti, piante non propriamente identificate ma super fighe, paeselli in festa – perché in questo periodo ci sono tipo tre celebrazioni importanti.

Mi fermo e scatto qualche foto, perché sono momenti che voglio bloccare non solo nella memoria del mio cervello, ma anche su Drive.
Quello che non posso salvare sulla memoria di Drive, è questo odore di incenso meraviglioso che si sente anche in motorino, attraversando i villaggi. Quello lo terrò preziosamente solo nella mia mente.

Arrivo quindi alla prima spiaggia, mi riempio gli occhi di questo spettacolo, e mi permetto un gelato fatto a Bali, di 100% frutta, e scelgo, tra tutti i cazzo di frutti possibili, quella roba tremenda che puzza di culo. Sempre evitato, ma senza sapere il nome, vai e sperimenti. Così mi sono trovato a mangiare praticamente la prelibatezza locale sottoforma di gelato.

Il Destino mi aveva detto “non mangiarlo”. Infatti, appena scartato, questa “prelibatezza” è volata direttamente per terra. Potevo cogliere il messaggio, o no? Ma figurati! L’ho raccolto, con la mano probabilmente più sporca del suolo ho rimosso la grossa, come diremmo a Bologna, ossia la parte più visibile, in questo caso polvere e sassolini, una spruzzata d’acqua della bottiglia – step totalmente inutile ma faceva scena per il mio cervello, e via, in bocca. I locali hanno apprezzato il mio gesto.

In un attimo, questo mix di odore e sapore di culo mischiato a latte mi fanno sgranare gli occhi.
Il caldo torrido però ha avuto la meglio, e quella porcheria di gelato stava raffreddando un po’ la mia temperatura corporea (o almeno quella è stata l’impressione), e l’ho finito tutto, quasi facendomelo piacere.
Direi che posso mettere un tick su questa esperienza, fatta, stop, fine. Frutto che sa di culo, done.

Il Dragon fruit resta il mio favorito. Super fucsia, e che mi dà l’impressione fare così bene che quando lo mangio o bevo in un frullato, mi sento come ringiovanire. Ora capisco come la Wanna Marchi riusciva a vendere idiozie 🙂

Mi rimetto in sella, e decido di attraversare tutta l’isola per andare a vedere Broken beach che non ero riuscito a vederla ieri.

Ma come mai?

Ieri il driver mi viene a prendere da Ubud e mi porta al porto di Ku..qualcosa. Tutti questi nomi sono complicati. Non è il porto più famoso… è tipo l’aeroporto di Parma vs l’aeroporto di Bologna. Quattro pezzi di latta, tre pali di legno e un pontile. Ma qui c’è meno traffico, e questa cosa fa una grossa differenza, sia per te cliente che rischi di rimanere imbottigliato, sia per chi ti porta in giro.

Arrivo a Nusa Penida in fretta, in circa 20 minuti. Puzza di culo sul traghetto perché la gente trasporta quel frutto di mmmmerda, letteralmente. Gente con buste con 3 o 4 affari dentro. Che sono tra l’altro delle belle sberle! Si chiama Durian. E fa merda!
Per fortuna ero corso davanti, in fila 2, per sentirmi un po’ business class.
Inizialmente ero sospettoso perché tutti si erano seduti dietro e solo i NON locali stavano avanzando. Temevo in qualche tranello tipo “fotti il turista” o boh, qualcosa che solo loro sanno. In realtà credo semplicemente sia pigrizia, o un modo per fare meno fatica ad uscire. Infatti, si entra da dietro e si esce da dietro. Non voglio fare riferimenti al sesso anale, ma ormai è fatta.
Scendono quindi per primi, lasciando l’aroma di culo.
Alcuni, non contenti, aspettano pure il bagaglio. Alcuni con valigie, stavano aspettando che scaricassero la loro roba, tipo in aeroporto, solo che non c’era una belt ma te li tiravano dietro, o quasi.
Io, solo bagaglio a mano, quindi sono riuscito ad evitare questa extra attesa.

Esco, iniziando a pagare una tassa per solo i turisti, e vado diretto al posto degli scooter che avevo attentamente selezionato prima di arrivare, basandomi sulle review.
Scopro che il tipo era in realtà quello che avevo in malo modo ignorato appena uscito dal porto, che si era avvicinato chiedendomi se mi serviva uno scooter.
Io diritto come un fuso verso il suo capanno (avevo visto l’insegna trash da lontano), e lo vedo corrermi dietro.
Tutto bene quel che finisce bene comunque.

Navigatore impostato, telefono bello sistemato nel porta cellulare – questo molto più professional rispetto a quello che era sul motorino tamarro di Ubud, e via, con il mio zainone in spalla e lo zainetto sotto il sedile.

Arrivo nel resort, faccio check in una mezz’oretta prima, riorganizzo lo zainetto e torno al motorino, pronto per dirigermi alla più tipica “must do” di Nusa Penida: Kelingking Beach (ho aperto Google Maps per scrivere il nome, non sarei in grado di ricordarmelo). Avrei scritto T-Rex beach, ma volevo fare la personcina precisa.

Arrivo, e soliti 5000 per entrare. Qui, ogni posto… 5000. E a volte te ne chiedono altri per accedere alle spiagge, tipo oggi per la Diamond beach e quella di fianco, prima del gelato che sapeva di culo.

Arrivo quindi alla T-Rex beach, nuvoloso, dove qualche modella sovrappeso stava iniziando ad apparire. Ma qui avevo praticamente un giorno e mezzo, e non potevo sprecare il pomeriggio.

La view è mozzafiato. Colori che destabilizzano, suoni da cd ambient. E sì, ai miei tempi si usavano i cd, e allora? Anche le musicassette, ma per essere moderni, ai miei tempi, si parlava di “cd” per indicare qualsiasi raccolta di brani musicali. Quindi il mio cervello ha scelto la parola “cd” in questo caso.

Ed ero lì a chiedermi: scendo o faccio solo la foto da quassù?
Mi ero messo le scarpe e non le flip flop, quindi ero praticamente pronto alla discesa. Anche per smuovere un po’ questi muscoli fermi da qualche giorno, e riempiti di carboidrati e grassi con poche proteine.

Le modelle grasse stavano iniziando a prendere tutto il palcoscenico celeste, ma ancora non sembravano troppo aggressive.

In lontananza, un gruppo di modelle grasse erano chiaramente in modalità drenaggio. Si vedeva la pioggia sul mare.
Ora ero su questo percorso roccioso e ripido, dove dovevo fare la scimmia ed usare braccia e gambe per scendere. Potevo risalire, ma non avrei fatto in tempo e molto probabilmente sarei stato investito da questa tempesta, o darmi una mossa a scendere, mettere al riparo lo zaino, e… bagnarmi.

Alla fine questi temporaloni durano un po’ ma poi smettono.

Opto per la versione “mi bagno ma sulla spiaggia”, e scendo.

Arrivo sulla spiaggia che aveva iniziato a fare qualche goccia.

Viene giù il putiferio. Anche il mare si incazza e le onde aumentano. E si avvicinano sempre di più alla zone dove io e un altro gruppo di sfigati ci stavamo rifugiando, assieme a qualche local che aveva una specie di tendone tirato con sotto un paio di box dove tenevano drinks da rivendere.

Fisso la faccia dei locals e osservo i loro spostamenti, per capire se preoccuparmi o meno.

Tutto sotto controllo a quanto pare.

In lontananza arriva Samuel, de Murcia.
Ci presenteremo in fretta, dopo averci fatto reciprocamente i complimenti sulle maniere diverse ma entrambe efficaci di proteggere dalla pioggia i nostri zaini. Lui nell’incavo di un albero, io infagottandolo nel poncho di Decathlon.

Solo i viaggi ti danno queste possibilità. Conoscere persone dall’altra parte del mondo, con una loro storia da raccontare e finire anche a cenarci assieme, e scoprire che non ha la patente e ha guidato per la prima volta in vita sua uno scooter il giorno prima, ed ora era un attimo preoccupato della pioggia.

Si decide per farci un pezzo di strada assieme, per collaudare le sue skills su due ruote sul bagnato, allungando di un po’ il mio rientro, ma mi sembrava il minimo. E sì, siamo partiti sotto la pioggia perché era già dopo le 6, e qui il sole sorge e tramonta alle 6. Dopo si ha quei 40 minuti di allowance ma poi diventa buio pesto, e non ci sono lampioni o chissà che forma di illuminazione, e le strade, spessissimo, sono piene di buche o distrutte sul lato, quindi l’ho convinto a buttarsi sotto la pioggia, piuttosto che buttarsi… sotto la pioggia e al buio. Le modelle grasse non avevano intenzione di smettere la loro cura drenante.

Arriviamo all’incrocio, dove io dovevo voltare a sinistra e lui a destra. Ci salutiamo, pronti per continuare le nostre avventure, felici di aver passato qualche ora assieme ed esserci riempiti a vicenda di una storia nuova. Queste storie sono sempre molto piene di emozioni, e non so perché, ma nel viaggio siamo tutti più disposti a metterci a nudo, a raccontare anche quello che a volta si fa fatica, in una maniera naturale, magica. Forse perché questa persona forse non la rivedrai mai più. O forse perché, come te, è lì, e molto probabilmente ha vissuto qualcosa di simile o sta vivendo qualcosa di simile e sai che può capirti. Con Samuel è stato così. Una bella conoscenza, un bel momento.

E pronti per i saluti… in lontananza vediamo arrivare uno scooter. Che, chiaramente, rallenta… ci guarda, e si ferma.
Una tipa francese, fradicia, disperata.
Telefono morto (non water resistant direi), persa nel mezzo dell’isola, alla ricerca della strada che la riporti al suo hotel.

Quindi così, un altro incontro totalmente random, che mi ha portato a tenere un occhio anche a questa. Infatti, dopo un attento controllo sul mio cellulare (che la tipa mi stava dicendo “attento alla pioggia, il mio ha smesso di andare, se succede anche a te poi…” – se non fossi stato a Bali, pieno di positività e good vibes, l’avrei mandata a fare in culo, toccandomi i maroni e facendo le corna in segno scaramantico… ma sono a Bali e… itzoccheeeeeeeei)… scopriamo che deve andare nella mia stessa direzione. Io mi fermavo al “resort” e lei avrebbe dovuto continuare.

Se ha raggiunto il suo hotel non lo saprò mai, ma glielo auguro.

A causa di questa pioggia torrenziale, non sono quindi riuscito a fare Broken beach, ma oggi ho recuperato.

Attraversando l’isola (Diamond beach sta a est, e Broken sta a ovest), mi sono permesso una sosta caffè, godendomi un bel panorama di rigogliosa vegetazione, e qualche spiraglio di sole. Una pace assoluta, che vorrei riuscire ad integrare nella mia giornata tipo, anche in UK. Spero questo viaggio mi aiuti in questo, e possa portarne qualche pezzetto dentro la mia quotidianità.

E poi, di nuovo in compagnia della signorina di Google Maps.

Di broken non c’era solo la beach, ma anche la strada. Praticamente uno sterrato, dove credo avesse piovuto da poco. Quindi umidità a go go, fango, sassi, buche… ma a forza di dare gas sono arrivato.

Molto bella, ma T-Rex e Diamond restano le mie favorite.

Ora mi rimaneva Crystal Bay e la Pandan Beach. E la necessità di incrementare l’intake proteico, dato che qui a riso ci danno forte, ma proteine poche, nonostante abbia assistito a scene barbariche lungo la strada che mi hanno fatto pensare per un nano secondo a fare il vegetariano. Galline appese per i piedi, trasportate tipo borsette, maiali legati anche loro per le zampe, che gridavano… o un altro maiale dentro una gabbia ovale dove ci stava appena, che si divincolava, con 4 persone attorno… ma sono passato col motorino e non ho visto il “the next”. Ma posso immaginare, dato che più avanti, ce n’era un altro più immobile, che veniva lavato dal sangue sotto un getto d’acqua.

Avevo comunque voglia di un bel pesce grigliato, e mi sono tolto la voglia a Crystal bay. Assieme a un aperitivo di succo di watermelon (chiesto espressamente “no sugar please” – dato che qui vanno a badilate con lo zucchero, manco fossimo in USA), ho seguito con noce di cocco, dove ho scoperto si può mangiare l’interno. Il motivo del cucchiaio portato assieme alla noce di cocco e la cannuccia, era per quello.

E nulla, 20 minuti di scalinata su e giù per arrivare a Pandan, tempo di fare un tuffo e registrarlo, dato che non avevo ancora fatto un cazzo di bagno – quindi volvevo avere il ricordo del mio primo bagno a Bali – e poi noto in lontananza altre modelle grasse in drenaggio mode.

L’esperienza insegna, osservi se e come si spostano, ma dopo l’esperienza di ieri, decido che il bagno l’avevo fatto, e non sarebbe stato male rientrare al “resort”, e magari visitare la palestrina, e ridare un po’ di tono.

Taglio corta, sono arrivato 5 minuti prima iniziasse nuovamente il putiferio.

Giornata perfetta 🙂 E mi sono pure allenato.

Morale della favola? Gelato a Bali, sì, ma non quello che puzza di culo.

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